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L’AGOSTO IN NEGATIVO E IL PATRIMONIO DA VALORIZZARE. TURISMO IN CALO E DISMISSIONI.
GHNET SETTEMBRE 2012
Dopo un agosto 2012 nero e in controtendenza rispetto ai competitor internazionali, l’articolo di Stefano Ceci propone misure per la privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico che tengano conto della necessità di valorizzarlo senza svenderlo.
Nel mondo crescono i flussi turistici ma in Italia, un risultato così nero è difficile anche da immaginare: per la prima volta agosto è negativo e si somma al -10% dei primi otto mesi dell’anno. Meno presenze, meno pernottamenti, tutti al risparmio. La crisi economica generale certo pesa su questi numeri, ma anche il Governo sembra incapace di cogliere l’opportunità per il rilancio del paese dell’economia culturale e turistica. L’intervento di Stefano Ceci propone misure per la privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico che tengono conto della necessità di valorizzarlo senza svenderlo, nell’ottica di un turismo interconesso con l’economia tutta.
Stretta nella morsa della crisi l’estate italiana sta per finire.
Farcita dalle solite recriminazioni da retrobottega che coinvolgono giusto qualche addetto ai lavori, attraversata dalle polemiche su Tripadvisor e dai disagi causati da una compagnia aerea che sta per fallire, anzi no, forse si salva.
Un brutto -10% nei primi otto mesi dell’anno e per la prima volta un Agosto in negativo. Meno presenze, meno pernottamenti, tutti al risparmio. E’ stato il trionfo della vacanza a scrocco da amici e parenti.
La potremmo archiviare così, rassegnati all’ineluttabile esito causato dalla situazione economica generale, addebitando il risultato sul conto di Frau Merkel e delle cancellerie europee che non trovano vie d’uscita e ci confinano in questo limbo non più italiano e non ancora europeo.
Ma anche no.
Potremmo scrollarci di dosso la sindrome calimero e fare qualcosa di buono e di utile per organizzare la ripresa.
Si è già detto che il Turismo non è una economia a sé (e lo ribadiremo fino alla noia), che serve agire in più settori, con diverse politiche. Per la verità, su alcuni settori il Governo sta lavorando ma continua a non considerare l’economica culturale e turistica come un’opportunità per il rilancio e la crescita del Paese.
Ne è prova la recente riforma del lavoro che non tiene conto della dinamica stagionale dell’impiego in campo turistico né dell’opportunità di lavoro giovanile che il settore offre. Parliamo di circa 3,5 milioni di persone, più o meno il 15% degli occupati in Italia. Vi sembrano numeri trascurabili?
Qualche timido segnale pare giungere dalle parti del recupero e della valorizzazione dei beni architettonici monumentali e si pensa di favorire il mecenatismo… e di fruibilità dei luoghi storici? Di nuove forme di gestione a profitto dei siti? Chi ne parla? Crescono i numeri delle visite ai musei in molti casi a dispetto della qualità dell’esperienza. Ah, cosa potremmo fare se solo gestissimo al meglio il nostro immenso patrimonio!
Queste riflessioni sono lapalissiane, finanche banali. Ma si continua fregandosene delle opportunità, delle nostre autentiche vocazioni. Ben ha fatto Ernesto Galli della Loggia, dalle colonne del Corsera, a puntare l’attenzione sul paesaggio preso a schiaffi e siamo d’accordo con lui sul fatto che solo un intervento risoluto del governo centrale e dello Stato nazionale può a questo punto avviare, se è ancora possibile, un’inversione di tendenza; che però deve essere necessariamente anche di tipo legislativo.
Quanto ancora può durare questo social-masochismo?
Qualche settimana fa Giavazzi e Alesina hanno invocato il coraggio di privatizzare realmente alcune società strategiche (Terna, SNAM Rete Gas e Poste). Vendere per davvero, scrivevano, evitando di cedere piccole quote acquistabili solo con il decisivo concorso delle banche e quindi ancora a debito. Sul tema sono intervenuti di recente anche Giannino, Romano, Rossi e altri sostenendo la necessità di affidare il processo di cessione degli attivi patrimoniali dello Stato a figure serie e competenti, fuori dal perimetro pubblico.
Nel contempo si dovrebbe privatizzare anche il patrimonio immobiliare pubblico ed a proposito ci preme segnalare che non c’è traccia di analisi sui possibili effetti che l’operazione potrebbe avere per l’economia turistica e culturale né tanto meno di proposte per cogliere le opportunità che il cambiamento porterebbe.
Chi può essere interessato al patrimonio immobiliare dello Stato? Come si potrebbe valorizzarlo per ricavarne attività economiche profittevoli, che producano crescita e sviluppo, senza conoscere le potenziali destinazioni d’uso? Chi acquisterebbe immobili pubblici con la certezza di finire nella palude delle norme e della burocrazia? In questa situazione, come ha scritto Charles Wyplosz, direttore del centro internazionale per gli studi bancari e monetari, non si tratterebbe di una vendita ma di una svendita foriera di speculazioni anzichè generatrice di nuove imprese.
Buona parte di questo patrimonio è infatti di interesse storico architettonico e ambientale e per valorizzarlo, anche a fini turistico-culturali, è inevitabile entrare nel merito avendo ben presente che si danno tre diversi casi: vendere, mettere a rendita e dismettere.
La parte destinata alla vendita va immessa sul mercato a valori attuali e appetibili (vedi crisi del settore immobiliare) e corredata delle relative certificazioni circa le possibili destinazioni d’uso. I potenziali acquirenti di questi immobili devono infatti conoscere a priori e in modo certo e trasparente cosa se ne potrà fare. Si evita così l’aleatorietà delle norme e la discrezionalità degli enti preposti a rilasciare le necessarie autorizzazioni che è da sempre l’ostacolo insormontabile per qualsiasi investitore, ma soprattutto per quelli esteri. Un modo, tra l’altro, per ripulire il terreno dalle tentazioni dell’italica furbizia di definire gli usi e gli indici ex post, su misura per il soggetto che li richiede e magari determinati in base agli amici degli amici che possono. Una prassi che alimenta corruzione e malaffare.
L’asta è invece lo strumento adatto all’assegnazione del patrimonio che può fornire una rendita allo Stato. La scelta deve avvenire sulla base delle migliori proposte di modifica e utilizzo dell’immobile. La durata della concessione potrà essere commisurata all’entità dell’investimento proposto dall’interessato fino ad un massimo di trenta anni. La rendita è corretto sia inversamente proporzionale alla dimensione dell’investimento e comunque non inferiore al 1,5% annuo del valore del bene messo a gara.
Il patrimonio rimanente può essere dismesso e cioè ceduto agli enti pubblici territoriali che ne facciano richiesta purché siano definite modalità e tempi per lo sviluppo di iniziative volte all’effettivo recupero e valorizzazione.
Invitiamo pertanto il Governo a procedere senza esitazione e con la massima evidenza pubblica ad individuare aree ed edifici, a definire le procedure, a predisporre le norme necessarie per il successo dell’operazione.
Così facendo potremmo veder nascere moderni musei nei centri storici, sistemi di ospitalità diffusa nelle case cantoniere, un circuito di accoglienza nei fari, strutture ricettive eco-sostenibili nelle caserme e negli insediamenti militari.