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IL CECCHINO MIOPE. LA COMUNICAZIONE DEL TERRITORIO COME AUTOCELEBRAZIONE DELLA POLITICA RESIDENTE.
GHNET OTTOBRE 2010
Si può essere cecchino avendo problemi di vista? No, ovviamente, ecco perché una strategia di marketing turistico miope rimane solo un tentativo fallace, un buco nero nell’acqua, uno sperpero di denaro pubblico. Citato, ripostato, “Il cecchino miope” è il capolavoro di Andrea Ruggeri.
La questione è ragguardevole. Gli spot televisivi messi on air da Regioni, Apt, club di prodotto (altri ed eventuali) sono, nella loro quasi totalità, come lo sparo di un cecchino miope. Negano qualunque vocazione al posizionamento, abdicano a qualsivoglia differenza tra turismo proposto e turismi concorrenti. Si comunica al minimo comun denominatore: lo stereotipo che il sistema consociativo del territorio è in grado di reggere. I committenti paiono proprio parlare a se stessi, “si guardano” nello spot.
Il risultato è raramente efficace. Diciamo che le buone esecuzioni sono perlomeno sinonimo di un’ambizione al rango in assenza di posizionamento. Spesso, purtroppo, il risultato è mediocre per assenza sia di buona esecuzione che di pensiero, o pessimo, quando si ottiene visibilità mediatica in virtù delle sole polemiche che lo spot suscita tra gli scontenti permanenti e quelli che permanentemente si accontentano. Intanto ballano milioni di euro.
Le occasioni perse sono confermate dagli slogan, invocativi ed evocativi di ciò che qualunque territorio di pregio ha di default. Nella loro schiacciante maggioranza gli spot di promozione turistica non hanno un punto di vista sul territorio, non “vedono” con gli occhi di chi vorremmo ci venisse, ma con quelli di chi lo amministra. Sono prodotti autoreferenziali confezionati da cecchini miopi.
Il cecchino miope è la politica dell’amministratore sulla rappresentazione del territorio pubblico: comunica turismo parlando sostanzialmente a se stesso, ai suoi simili, una questione di famiglia. Ecco il nostro filmino sulle vacanze. Si esclude di prendere in considerazione ogni percezione dell’eccellenza territoriale che non sia riconducibile a ciò che l’immaginario degli italiani rimastica da sempre.
Si incita allo stereotipo, e si omette sistematicamente la mission di scegliersi un pubblico che innalzi il rango e abbassi i deficit.
La questione non è marginale, riguarda la comunicazione turistica in un paese dentro le top ten, ad alta densità di offerta. Un paese sovralimentato in tutto: paesaggio, mare, città d’arte, gastronomia, con un matching rilevante tra estensione ridotta e tasso demografico.
Non siamo l’Australia o l’Argentina, noi non abbiamo grandi spazi da “vendere”, siamo un caleidoscopio di frammenti territoriali che spesso si sovrappongono e si confondono nella percezione comune, perché dotati di paesaggi contigui, strutture di accoglienza simili, perfino manufatti architettonici e vigneti interscambiabili, con B&B e agriturismi che hanno raggiunto una densità cinese in territori bonsai.
Le questioni del rango, della differenza, dello scegliersi “quali turisti” in un paese vocato alle vacanze massive, non sono affrontabili con un Cencelli del turismo coniugato in spot.
Per aiutarci divideremo l’esistente comunicato per archetipi. E’ più semplice e utile al lettore.
Il primo archetipo è quello del testimone unificatore, un campione sportivo, un attore, o un comico. Essi recitano la parte dei riconosciuti come garanti del luogo, o per appartenenza o per elezione.
Il testimone unificatore è in Calabria, Emilia Romagna, Marche (Gattuso, Cevoli, Hoffman).
Con enfasi e linguaggio diverso, garantisce un centro, o epicentro, che al territorio si vorrebbe attribuire. L’archetipo si fonda sull’assioma “se lo dice costui ci deve essere del vero” o “se c’è costui vorrà dire che si tratta di un posto esclusivo”. Ma costui è per caso (sospetto legittimo) il risultato di un vuoto di pensiero che la notorietà del testimonial dovrebbe colmare? Meditarci non guasta.
Esempi: L’Infinito nell’italiano affaticato di Hoffman che vaga tra palcoscenici e declivi, è forse l’escamotage di una regione faticosa da distinguere dalle vicine Umbria e Toscana? Gattuso, garante che in Calabria “noi ci mettiamo il cuore”, è un altro faticoso esercizio per sopperire ad un deficit di accoglienza e ad un primato di delinquenza diffusa? Cevoli, l’assessore romagnolo che dice simpatiche demenze sui parchi acquatici, è la fatica dei reali funzionari a riempire di gente luoghi di intrattenimento, che forse sono troppi anche per una regione che si nutre tradizionalmente d’invasioni turistiche massive?
Il secondo archetipo è quello della cartolina animata.
Il paesaggio naturale e le bellezze storiche sono affidate ad un’esecuzione più o meno accurata, sostenute da una voice over enfatica.
La cartolina animata è il paesaggio (visto o percorso) che cerca riconoscimento. La sua è una bellezza indubbia ma smarrita negli equivalenti: colline, mari, fiumi e boschi sono tutti belli e tutti uguali in un’Italia che ritrova continuamente le sue somiglianze paesaggistiche. Dove siamo ce lo dice una voce, ma è questa la differenza? E perchè dovremmo andarci, vista la somiglianza con altre decine di territori parenti?
L’enigma irrisolto viene affidato alla tv come un diotallevi. Media costoso la tv, veloce per fare notorietà ma anche improprio per misurare qualità e selezionare la propria clientela turistica. Paradossalmente questi manufatti comunicativi sono “primari”, fanno inconsapevolmente pubblicità all’intera penisola, o quando sbandano nell’idea mediocre e in un’esecuzione raccapricciante, retrocedono un territorio prezioso nel repertorio della cartolina universale baci da…
Esempi: alla Sardegna, mito del Mediterraneo, che impegna riprese aeree con un’esecuzione ben congegnata e spettacolare, si oppone una Liguria (Genova, Riviere Levante e Ponente), che si propone come gelosamente tua con logo animato da formaggino ed esecuzione a dir poco imbarazzante.
La prima vezzeggia una clientela internazionale amante del selvaggio naturale, ma cuce tutto in un linguaggio “già narrato”, che ha per artefici migliaia di inizi elivision da cinema americano e doc di NatGeo. Gli manca un colpo di coda identitario (obbligatorio).
La seconda, e spiace fare una comparazione (ma passatemela come strumentalmente utile), nella sua cruda banalità e sciatteria, non solo rende ridicolo un territorio preziosissimo, ma sembra ammiccare a un low-profile globale, ad un target ultrapopolare e universale, alle comitive non-spendenti che dai quattro angoli del globo arrembano dai barconi le 5 Terre. Decidersi: o il linguaggio è figlio di un posizionamento o è un orfano omicida.
Il terzo archetipo è quello della diversità presunta.
Qui il cecchino miope è inconsapevole di esibirsi a favore di una uguaglianza conclamata.
Si presume che definire una regione bella tutto l’anno (Puglia) o nuovo da sempre (Piemonte), o bella sempre (Val d’Aosta), così bella che è vero (Campania) sia un elemento distintivo indimenticabile, salvo avere un unico claim: bella sempre tutto l’anno (si risparmiano 2 bella, 1 sempre, e si potrebbe fare così un budget cumulativo quadriregionale). Il presunto diviene pretestuoso e la diversità cade nell’oblìo.
I tre archetipi dicono che, aldilà di esecuzioni professionali e di pregio stilistico (Campania, Sardegna, Sicilia), non si varca mai la soglia del “a chi stiamo parlando”, del linguaggio e del media coerente.
Credo che la responsabilità non sia per niente da attribuire alle agenzie pubblicitarie e ai talenti creativi, ma solo ed esclusivamente ai committenti, ai cecchini miopi (che sono persone, non istituzioni, vale la pena rammentarlo).
Alle istituzioni si rivolgono questi ragionamenti, casomai duri, il cui scopo è quello di uscire dall’approssimazione e dal fiato corto della contingenza del “mandato politico”, per entrare in quella poetica difficile ma fruttuosa che riguarda le strategie delicate e sensibili sui territori.
Nota: Il lettore avrà notato l’assenza di considerazioni sulla campagna Voglio vivere così, della Toscana. Penso meriti un ragionamento a parte. Affrontare il worldwide brand Tuscany è in qualche modo entrare nel repertorio di un case-history aureo, e gli va riservata un’attenzione esclusiva, diciamo la prossima “puntata”.
Andrea Ruggeri