LA CLASSIFICAZIONE ALBERGHIERA IN ITALIA: LA SITUAZIONE AL 2010.

GHNET MAGGIO 2010

Due stelle, tre stelle, 0 stelle: il turismo è di competenza regionale, e di conseguenza lo è anche la  classificazione. L’argomento è talmente importante che non c’è nuovo ministro del turismo che non trovi si trovi ad affrontare la “riforma classificazione alberghiera”.

 

La realtà della classificazione attuale

Nel febbraio 2009 è stato pubblicato in gazzetta ufficiale il DPCM 21/10/2008, che introduce gli standard minimi nazionali dei servizi e delle dotazioni per la classificazione degli alberghi. Ad oggi la situazione non è molto diversa, tuttavia, e rischia di rimanere invariata ancora a lungo.Vedremo infatti come il DPCM che introduce gli standard minimi per la classificazione degli alberghi non abbia ancora prodotto effetti sensibili sui sistemi in vigore nelle varie regioni, tanto che ad oggi la realtà normativa è  sostanzialmente la stessa che conosciamo da diversi anni, caratterizzata da significative difformità, fra regioni, sia nei criteri di attribuzione delle categorie, sia nella effettiva classificazione delle strutture.

Per quanto riguarda il primo aspetto, i criteri di classificazione, ricordiamo che vi sono in sostanza due tipologia di procedimento attualmente in uso: vi sono alcune regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Sardegna, Valle d’Aosta) in cui la categoria viene assegnata agli alberghi sulla base di un punteggio, che viene misurato su una serie di parametri obbligatori e non.
Il procedimento in uso nelle altre regioni si basa invece sul riconoscimento del possesso di alcuni requisiti minimi obbligatori, inerenti alle diverse aree di valutazione; questo secondo sistema, ripreso in linea teorica anche dal DPCM, è chiaramente quello più efficace nel garantire la qualità effettiva del servizio erogato dalla struttura, dal momento che pone una soglia minima da rispettare, mentre l’altro procedimento si presta maggiormente a delle disomogeneità, dal momento che in teoria rende possibile accumulare “punteggio” con parametri diversamente distribuiti.

In merito al secondo elemento di diversificazione, la classificazione effettiva delle strutture, la situazione è tale per cui è possibile viaggiare da una regione all’altra e trovare alberghi classificati con categorie differenti ma sostanzialmente equivalenti dal punto di vista della qualità dell’offerta, oppure servizi differenti in alberghi della stessa categoria, o addirittura possiamo trovare 5, 6 o 7 categorie alberghiere, a seconda che la regione riconosca o meno categorie come la “3 stelle superior”, la “4 stelle superior” e “5 stelle lusso”.

Solo in pochi casi eccezionali, poi, i sistemi di classificazione regionali prendono in considerazione quelli che sono gli standard qualitativi esistenti a livello internazionale, così come, paradossalmente, la valutazione della qualitò dell’offerta prescinde sempre dagli elementi di tipo qualitativo, come potrebbero esserlo la qualifica professionale del personale, i materiali di costruzione e di arredo, gli elementi di sostenibilità ambientale, eccetera.

Altro fattore critico, dal punto di vista della competitività, è la carenza di controlli presso le strutture: nella maggior parte dei casi, viene effettuato un controllo solo a cinque anni dall’attribuzione della categoria, mentre i successivi controlli periodici sono pressochè assenti, espondendo tuttoil sistema di offerta alberghiera italiano a rischi notevoli dal punto di vista della qualità effettiva del servizio.

Sia pure nel contesto di una ricognizione sulla classificazione alberghiera, appare infine doveroso anche un richiamo sulla situazione delle strutture ricettive extralberghiere, al cui confronto le strutture alberghiere, pur con le differenze esistenti fra le varie regioni, mostrano un quadro relativamente più omogeneo e coerente. Nel caso delle tipologie ricettive secondarie vediamo invece che le rispettive classificazioni (quando sono presenti) si sono sviluppate più recentemente, quindi al di fuori di ogni matrice comune alle regioni. Le conseguenze si riscontrano chiaramente nel fatto che molte tipologie di strutture – affittacemere, alberghi diffusi, case per ferie, rifugi alpini, ostelli, ecc. – sono riconosciute e quindi classificate solo in alcune regioni e non in altre; oppure pensiamo al caso degli agriturismo, la tipologia ricettiva fra le più significative e strategiche per l’intero turismo italiano degli ultimi decenni: in un caso sono classificati con le stelle (Sicilia), altrove con delle spighe (Toscana), altrove con le margherite (Trento), altrove con i marchi di qualità (Emilia-Romagna).

È chiaro che di tutta questa situazione risente innanzitutto la competitivtà turistica dell’Italia. In primo luogo, perché la classificazione dovrebbe prima di tutto garantire la trasparenza, la certezza del servizio e della qualità, la tutela del consumatore, mentre allo stato attuale non è in grado di fornire (almeno non sempre) tali garanzie.

Non bisogna inoltre sottovalutare che il turista-viaggiatore straniere percepisce innanzitutto la destinazione-Italia, e poi, secondariamente, le destinazioni-regioni (cosa che ogni tanto andrebbe ricordata anche in tema di promozione internazionale…): ciò significa che il viaggiatore straniero che attraversando l’Italia riceve, a parità di classificazione del servizio, un servizio disomogoneo fra una parte e l’altra d’Italia percepisce tale diversità coem un disservizio.

Anche sul versante della promo-commercializzazione turistica il tema della classificazione emerge come un limite rispetto alle strategie possibili. Si è più volte detto e ricordato che una delle peculiarità del sistema di offerta turistica italiano è nella prevalenza delle piccole strutture ricettive, spesso a conduzione familiare, e nella scarsa penetrazione delle catene alberghiere; diversamente da come spesso si afferma, sosteniamo anche che questo non è il male assoluto e il freno allo sviluppo del turismo italiano: le piccole strutture possono benissimo essere competitive rimanendo piccole, purchè abbiano gli strumenti per competere. A questo punto però diventa davvero necessario e strategico comprendere che una classificazione ricettiva rigorosa ed omogenea è un fattore altamente strategico per agevolare la presenza delle piccole strutture nei canali commerciali, sia diretti che intermediati, attualmente così penalizzata dai venti diversi sistemi di classificazione presenti in Italia.

L’evoluzione normativa e i nuovi standard

La classificazione delle strutture alberghiere, che fu introdotta molto presto in Italia, con il Regio Decreto 975 del 1937, ha visto già nel 1983 un primo momento di decentralizzazione in favore delle Regioni, quando la Legge 217/83 (“Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica”) stabilisce all’art. 7 che “le leggi regionali dettano criteri per la classificazione delle strutture ricettive tenendo conto delle dimensioni e dei requisiti strutturali dei servizi offerti e della qualificazione degli addetti”. La stessa legge prevedeva che dovessero essere adottati criteri di armonizzazione fra le classificazioni regionali, disposizione che però non ha avuto seguito, visto che inizano da questo momento a nascere leggi regionali di classificazione piuttosto indipendenti e autonome.

Il processo di rafforzamento delle competenze regionali in materia continua con la Legge 57 del 1997 (“Legge Bassanini”), che  stabilisce il trasferimento di alcune funzioni e compiti, fra cui quelli attinenti le materie turistiche, dallo Stato alle Regioni e Enti Locali. La legge viene attuata dal Decreto Legislativo 112/98 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.”

Il passaggio più importante per il turismo avviene però nel 2001, con la famosa Legge 135,  “Riforma della legislazione nazionale del turismo”, che fra l’altro  inquadra giuridicamente le strutture ricettive nell’ambito della più ampia nozione di impresa turistica, e soprattutto con la Legge costituzionale 03, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”, che sancisce in via definitiva la competenza esclusiva delle Regioni in materia di turismo.

Va precisato comunque che il tema della disomogeneità a livello nazionale fra i vari sistemi di classificazione alberghiera era già chiaramente sentito come un problema da affrontare con urgenza, tanto che l’anno successivo il DPCM 13/09/02, “Recepimento dell’accordo fra lo Stato, le regioni e le province autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico”, in attuazione della Legge 135/01 prevede che che le Regioni debbano “definire concordemente e unitariamente i requisiti minimi di qualità per le strutture ricettive, per i servizi e per le imprese turistiche”.

Per avere l’indicazione di tali requisiti minimi di qualità dobbiamo però aspettare il DPCM 21/10/08 “Definizione delle tipologie dei servizi forniti dalle imprese turistiche nell’ambito dell’armonizzazione della classificazione alberghiera”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 febbraio 2009 e soprannominato “Italy Stars and Rating”, che finalmente definisce gli standard minimi nazionali dei servizi e delle dotazioni per la classificazione degli alberghi.

Il decreto è il risultato – oltre che di anni di dibattito – di una serie di sessioni di lavoro che hanno coinvolto i rappresentanti del Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, le associazioni di categoria e i rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano. Dal punto di vista tecnico gli standard minimi che esso stabilisce nascono da un benchmarking dei requisiti fissati dalle classficazioni alberghiere di tutte le regioni, e rappresentano in un certo senso il “massimo comune denominatore” di tutti i sistemi vigenti. Non a caso, le Regioni e le Province autonome possono introdurre livelli di standard migliorativi rispetto a quelli minimi definiti a livello nazionale, e di fatto, molte delle classificazioni regionali esistenti prevedono standard minimi superiori a quelli fissati dal decreto.

La classificazione riconosciuta dal decreto è conforme a quello che è lo standard classificatorio internazionale, si basa cioè “su un codice rappresentato da un numero di stelle crescente”, definendo quindi 5 categorie, da 1 a 5 stelle. Per ogni categoria vi sono determinati parametri da rispettare, sia di natura strutturale che funzionale.
I principali parametri strutturali riguardano:
•    le camere: n° minimo, superficie, bagno privato
•    la dotazione delle camere. arredamento, tv, tv sat, internet, telefono, frigo bar, cassetta di sicurezza, ecc.
•    la dotazione dei bagni privati: chiamata emergenza, biancheria, asciugacapelli, courtesy line, ecc.
•    la dotazione dell’esercizio alberghiero: ascensore, riscaldamento, impianto di condizionamento dell’aria
•    i locali a servizio degli alloggiati: guardaroba, deposito bagagli
•    le sale o aree comuni: ristorante, bar, soggiorno, prima colazione, riunioni, superfici
•    i servizi igienici ad uso comune
•    le dotazioni varie: tv a uso comune, telefono a uso comune, ingresso con portico/pensilina, ecc.

I principali parametri funzionali invece prendono in considerazione:
•    il servizio di ricevimento: servizio notte, trasporto bagagli, servizio custodia
•    il servizio di bar: bar, servizio in camera
•    il servizio di prima colazione
•    il servizio di ristorazione
•    i servizi alle camere: pulizia camere, cambio biancheria
•    le lingue straniere parlate dal personale
•    servizi vari: lavanderia, divise del personale, parcheggio, fax e fotocopie, internet

Il decreto prende il nome di “Italy Stars and Rating” in quanto introduce anche la possibilità di realizzare un sistema di valutazione qualitativa e parallela: un sistema di rating, appunto, associabile alle stelle, per la certificazione e valutazione della qualità del servizio reso al cliente, con il duplice fine di accrescere la competitività delle strutture e garantire il consumatore. Particolarmente interesante appare il fatto che per la prima volta la qualità del servizio è intesa e definita come “l’insieme delle attività, dei processi e dei servizi, misurabili e valutabili, rivolti alla soddisfazione dei clienti”.

L’adesione al sistema di rating da parte delle strutture sarà volontaria; questo elemento può apparire come una limitazione all’adozione e all’affermazione del sistema di valutazione e controllo della qualità, tutttavia bisogna considerare anche che proprio perché non tutte le strutture vi aderiranno, esso sarà probabilmente capace di preservare il proprio significato e il ruolo di certificazione effettiva del servizio. D’altra parte, è questo un discorso ancora puramente teorico, poiché servirà un apposito atto emanato dal Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, in accordo con le associazioni di categoria e le Regioni e Province autonome, per poter individuare i parametri di misurazione e valutazione della qualità del servizio, e i criteri e le modalità per l’attuazione del sistema di di rating: parliamo quindi di un tempo plausibilmente molto lungo, come quello che è stato necessario per concordare gli standard minimi per la classificazione delle strutture.

Recepimento e attuazione del decreto. Situazione attuale e prospettive

L’introduzione degli standard minimi nazionali dei servizi e delle dotazioni per la classificazione degli alberghi rappresenta un passaggio di indubbia importanza, e tuttavia destinato, probabilmente, a rimanere simbolico, più che effettivo: in virtù della competenza esclusiva delle Regioni in materia di turismo, il decreto non ha natura regolamentare, e i tempi e le modalità per il suo recepimento e soprattutto per l’attuazione da parte dei governi regionali appaiono estremamente incerti.

Innanzitutto gli standard minimi sono definiti in relazione all’apertura di nuovi alberghi o alla ristrutturazione di quelli esistenti (articolo 3), mentre per gli alberghi già esistenti le Regioni e le Province autonome dovranno adottare entro tre anni le iniziative di recepimento degli standard, ed è comunque escluso per queste l’obbligo di adeguamento ai requisiti strutturali (cioè gli alberghi esistenti dovranno adeguarsi agli standard minimi di natura funzionale, non strutturale).

Quanto alle modalità di attuazione, il decereto definisce gli standard minimi nazionali dei servizi e delle dotazioni per la classificazione degli alberghi “lasciando alle Regioni e alle Province autonome, competenti per materia, l’individuazione, nelle norme di recepimento, di ulteriori caratteristiche, connesse al territorio”. L’articolo 2 afferma infatti che le Regioni e le Province autonome “provvedono a differenziare la declinazione di dettaglio dei servizi previsti con indicazioni che più aderiscano alle specificità territoriali, climatiche o culturali dei loro territori”.
Un ulteriore elemento di diversificazione nell’attuazione del decreto potrà riguardare gli alberghi già esistenti, per i quali le Regioni e le Province autonome potranno disporre “motivate differenti modalità di disciplina e di adeguamento per specifiche strutture”.

Oltre al “come” il decreto verrà recepito e attuato da parte delle regioni, appare però interessante chiedersi “se” e “quando” esso sarà davvero tradotto in realtà. L’articolo 4 del decreto afferma che “viene individuato in mesi 6, dalla data di pubblicazione del presente provvedimento, il termine per l’emanazione dei provvedimenti regionali di recepimento degli standard minimi”. Essendo il decreto stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 febbraio 2009, i sei mesi decorrevano all’11 agosto 2009. Da una nostra ricerca effettuata nel mese di maggio 2010, risulta che solo 10 Regioni risultano hanno emanato i provvedimenti di recepimento degli standard minimi: Basilicata, Calabria,  Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna e Umbria.
Non vi sono invece notizie di provvedimenti di recepimento del decreto presso le altre Regioni, di cui diverse hanno peraltro statuto speciale: Abruzzo, Provincia Autonoma di Bolzano, Campania, Liguria, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana, Provincia Autonoma di Trento, Valle d’Aosta, Veneto.

Alcuni esempi sul recepimento del decreto nelle Regioni italiane possono bene rappresentare la varietà di situazioni presenti:
•    la Regione Umbria ha formalmente recepito il decreto, ma poiché gli standard minimi fissati dalla L.R. 18/06 sono superiori a quelli del decreto vengono mantenuti quelli vigenti: è quindi un caso di modiche migliorative, come previsto all’art. 2 del decreto
•    la Regione Valle d’Aosta, come nel caso dell’Umbria, possiede di fatto standard minimi superiori a quelli fissati dal DPCM, ma proprio per questo motivo non ha ritenuto necessario emettere provvedimenti di recepimento, al contrario dell’Umbria.
•    per la Regione Puglia la delibera con cui la Giunta Regionale ha recepito il decreto vale come mero atto di indirizzo alle Province, cui è delegata la classificazione delle strutture ricettive, e che non hanno ancora provveduto ad attuare gli standard minimi fissati.
•    la Regione Basilicata con la DGR 2116/09, che recepisce gli standard del decreto, istituisce il primo sistema di classificazione alberghiera della Regione.

Alla luce di questa situazione ancora complessa e disomogenea, molte variabili potranno influenzare il raggiungimento o meno di un sistema di classificazione omogeneo a livello nazionale: la volontà delle regioni di recepire il decreto, innanzitutto, ma anche le modalità con cui provvederanno ad attuarlo, i tempi con cui procederanno. A questo proposito, una situazione paradossale eppure possibile potrebbe verificarsi qualora venissero applicati gli standard minimi alle strutture nuove ma non a quelle già esistenti: ci troveremmo di fronte a differenze di classificazione anche dentro la stessa regione. Restano poi in sospeso altri temi importanti come quello dei controlli presso le strutture e lo sviluppo del sistema di rating: temi per i quali appare imprescindibile un raccordo effettivo fra le Regioni, e per i quali sarebbe auspicabile una calendarizzazione non troppo remota.

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